Come ribadito dalla sentenza succitata, con le modifiche apportate all’
art. 4 dello Statuto dei Lavoratori dall’
art. 23 del Dlgs 151/2015, attuativo del Jobs Act poi integrato dal
Dlgs 185/2016, il datore di lavoro è autorizzato ad effettuare dei
controlli sui dispositivi informatici utilizzati dai dipendenti, previa adeguata
informativa sulle
modalità d’uso degli strumenti e sull’
effettuazione dei controlli, nel rispetto della
privacy. Le informazioni così raccolte possono essere utilizzate per tutti gli scopi connessi al
rapporto di lavoro, anche quelli
disciplinari.
Nel caso di specie, il lavoratore aveva anche utilizzato
impropriamente la
carta intestata dell’azienda, inviando comunicazioni a nome di quest’ultima, senza autorizzazione, apponendo delle
firme falsificate.
Il dipendente ha provato a difendersi, contestando gli accessi, perché non essendo il computer protetto da
password chiunque avrebbe potuto accedervi. Ma le
policy aziendali prevedevano che il dipendente fosse
responsabile degli
accessi al computer in sua dotazione, essendogli stati forniti dei dati di accesso che egli avrebbe dovuto custodire. In più la
cronologia non lasciava dubbi sul fatto che i siti fossero stati visitati dallo stesso dipendente, soprattutto perché (e qui si rimanda all’importanza della
SOCMINT) egli stesso aveva pubblicato sui suoi canali social delle
foto e dei
post riferiti a dei viaggi che aveva prenotato ed acquistato durante l’orario di lavoro.
Questo è solo l’ennesimo caso di dipendenti licenziati o sanzionati per i loro
comportamenti online. Ricordiamo ad esempio il caso trattato dalla
Sentenza n. 2636 (della quale abbiamo parlato
QUI) del Tribunale di Bari, riferito ad una segretaria licenziata per aver svelato dei
segreti aziendali a dei
competitor tramite chat su telefono aziendale, o il caso trattato nell’
Ordinanza n. 13266 di un dipendente licenziato perché giocava abitualmente al
solitario sul pc aziendale invece di lavorare.
In conclusione, dunque, il datore di lavoro può
controllare i dispositivi in uso ai dipendenti, nel rispetto dei principi di
correttezza,
pertinenza e
non eccedenza, poiché ci si muove nell’ambito del
trattamento dei dati, e per essere certi di non commettere gravi errori è bene rivolgersi, come in questo caso, a degli
investigatori esperti.