Al giorno d’oggi, purtroppo, le violenze domestiche sono altrettanto numerose ed efferate di quelle che si consumano fuori dalle mura di casa.
Spesso le vittime che le subiscono incontrano una grande difficoltà a reagire e a denunciarle perché queste sono commesse da persone alle quali si è legati sentimentalmente e perché queste colgono vittime inermi, proprio nel luogo dove si dovrebbero sentire il più al sicuro e protette possibile.
Talvolta anche i processi che si intraprendono per liberarsene possono presentare momenti di difficoltà per la vittima, che sente di subire un’ulteriore violenza.
Il caso che oggi affrontiamo è quello di una donna che ha fatto ricorso contro la scelta del giudice per le indagini preliminari, il quale ha deciso di archiviare il procedimento contro l’ex-marito accusato di maltrattamenti in famiglia e violazione degli obblighi di assistenza familiare.
Il Gip ha deciso di archiviare la causa poiché ha considerato inutili le testimonianze prodotte a favore dalla moglie da parte di sua madre e dei testimoni di nozze, in quanto relative a fatti avvenuti tra le mura domestiche e perché prodotte da persone “non indifferenti”.
La Suprema Corte di Cassazione ha fortunatamente accolto il ricordo della donna. Il Gip avrebbe dovuto “limitarsi a valutare i profili di pertinenza e di specificità degli atti di indagine richiesti; ne consegue che è illegittimo il provvedimento di archiviazione emesso de plano sulla base di una valutazione di merito in ordine alla fondatezza o all’esito delle indagini suppletive indicate”. (Sentenza 50009 - 17).
Cosa può fare una donna per procurarsi delle prove valide?
Tra i mezzi di raccolta delle prove - eventualmente utilizzabili in giudizio o per denunciare gli atti di violenza nell’ambito delle mura domestiche – ci sono gli strumenti di registrazioni audio e video, come le telecamere occulte che però devono essere installate con cautela per evitare di essere scoperti. In questi casi è sempre consigliato procedere con una denuncia presso le Autorità competenti.
