Lo
smart working ha causato a moltissimi lavoratori problemi legati all’
ansia da prestazione, alla
dilatazione dei tempi di lavoro, e per il
48,3% di loro anche
problemi fisici, a causa delle postazioni domestiche inadeguate. Problemi che si riflettono, inevitabilmente, anche sull’
organizzazione aziendale, modificando le
relazioni con
colleghi e
dirigenza, fino ad arrivare alla
disaffezione, che può ovviamente portare all’
infedeltà del dipendente.
Gli
illeciti commessi dai
lavoratori, ai
danni dell’
azienda, sono
aumentati con l’utilizzo dello
smart working. In particolare la
concorrenza sleale, il
furto dati, la
falsa malattia.
Nuove forme di illecito, dei quali abbiamo parlato
qui, hanno portato moltissime aziende a rivolgersi alle
agenzie investigative autorizzate, per poter svolgere i cosiddetti
controlli difensivi e
tutelare così il
patrimonio aziendale, grazie alle
prove ottenute dalle
indagini, ed
utilizzabili in sede di giudizio.
Non solo
indagini sui
beni aziendali, quali ad esempio il pc fornito dal datore di lavoro, o la casella di posta elettronica, sui quali il dipendente non ha aspettative di
segretezza, poiché già consapevole di non poterli usare per
scopi personali, ma anche
indagini sulla sua
condotta, sul rispetto dei
luoghi e degli
orari pattuiti e sulla sua
affidabilità, nel dubbio che possa trasferire il
know-how aziendale a terze persone.
Il lavoro agile, infatti, ha riguardato soprattutto i
lavoratori più qualificati, in particolare
sotto i 35 anni, quindi maggiormente
interessanti per i
competitor, e le
aziende più grandi, soprattutto quelle che operano nel
terziario, nei
servizi alle imprese, nelle
assicurazioni.
Nel Rapporto “
Gli italiani e il lavoro dopo la grande emergenza”, e nello specifico nel capito “
Smart working, una rivoluzione nel lavoro degli italiani” (in allegato) la
Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro ha analizzato gli
effetti di questa nuova modalità sui lavoratori.
Il
Rapporto verrà presentato il
28 e 29 Aprile 2021 in occasione del
Festival del Lavoro, organizzato dal
Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro e, appunto, dalla sua
Fondazione Studi.
Per il
16,7% dei lavoratori, lo
smart working è vissuto come un
punto di non ritorno nella vita professionale, e più del
10% di loro è disposto a
cambiare lavoro purché sia possibile svolgerlo
da casa. Il
43,5% ritiene di potersi
adattare al
ritorno in
ufficio, mentre
4 lavoratori su 10 vorrebbero tornare a
lavorare all’interno dell’azienda,
in presenza.
Lo
smart working, infatti, in quest’ultimo anno, è stato vissuto in maniera completamente
diversa dai lavoratori, in base alla loro
età, al loro
genere, al loro essere
genitori o meno. Gli
uomini, ad esempio, nel
52,4% dei casi, si sono sentiti
penalizzati dal lavoro agile per ciò che riguarda la loro
carriera, sebbene sia stata
maggiore la
produttività e la
concentrazione.
Il
57% delle
donne, invece, ha lamentato un ingestibile
allungamento dell’orario di lavoro, e l’
inadeguatezza degli
spazi domestici in cui lavorare, facendo emergere un maggior rischio di
disaffezione verso il lavoro (
44,3% delle donne rispetto al 37% dei colleghi).
Per il
43% delle
famiglie italiane, il
work-life balance è decisamente
peggiorato. Se il
71,1% dichiara di aver
diminuito le
spese per spostamenti, vestiario, investendo nel tempo libero, il
39,6% lamenta invece l’inadeguatezza delle
infrastrutture e dei
mezzi per poter svolgere la propria prestazione da remoto, come i
collegamenti di rete, che come abbiamo visto in un recente articolo, consultabile
qui, possono mettere a
rischio la sicurezza dei dati aziendali.