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QUANDO LA PAUSA CAFFÈ PUÒ ESSERE MOTIVO DI LICENZIAMENTO

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QUANDO LA PAUSA CAFFÈ PUÒ ESSERE MOTIVO DI LICENZIAMENTO
La Pubblica Amministrazione si può avvalere delle agenzie investigative autorizzate per provare l’infedeltà dei dipendenti pubblici, come più volte confermato dalla giurisprudenza in materia.
I motivi più frequenti per i quali un ente pubblico si rivolge agli investigatori privati, per ottenere prove valide legalmente degli illeciti dei dipendenti, sono:
• La falsa attestazione della presenza in servizio (es. false timbrature dei cartellini);
• Le assenze ingiustificate;
• La mancata ripresa dell’attività lavorativa a seguito dell’assenza ingiustificata;
• L’assenza per falsa malattia;
• La concorrenza sleale in ogni sua fattispecie.
Le indagini messe in atto dagli investigatori privati prevedono delle attività di monitoraggio e di pedinamento, coadiuvate da indagini OSINT e SOCMINT per raccogliere anche dalle fonti aperte sul web eventuali indizi relativi alle condotte tenute dai dipendenti, soprattutto negli orari lavorativi.
Al termine di tali indagini viene consegnato al cliente il dossier investigativo, contenente le prove foto/video degli illeciti, che potrà usare in giudizio per la tutela dei suoi diritti.
In relazione alla falsa attestazione della presenza in servizio, recentemente la Cassazione, con Sentenza 29674/2021 (in allegato) ha riesaminato il caso di due dipendenti pubblici di un comune campano, che durante un controllo dei Carabinieri risultavano assenti dal posto di lavoro. I due si erano allontanati senza timbrare il badge per consumare un caffè al bar e comprare delle sigarette al tabaccaio.
In questi casi le indagini investigative preposte sono quelle di monitoraggio delle entrate e delle uscite dei dipendenti pubblici, in modo da confrontare gli orari da loro indicati nel sistema di rilevamento con quelli effettivamente effettuati, e per determinare la frequenza dell’illecito.
Nel caso di specie, la Corte Territoriale si era espressa a favore del licenziamento disciplinare dei due dipendenti, in quanto la loro condotta cagionava un danno economico all’ente, poiché venivano retribuiti anche per delle ore che, di fatto, non erano state dedicate al lavoro, determinando un inevitabile rallentamento dell’intero flusso lavorativo, oltre ad un generale malcontento ed al rischio di emulazione da parte degli altri colleghi. Inevitabili le ripercussioni sull’immagine pubblica dell’Ente, danneggiata dal “discredito conseguente al fatto illecito, che investe l'autorevolezza e la credibilità dell'Amministrazione Pubblica”.
L'allontanamento dal posto di lavoro, per una pausa, deve essere sempre notificato dal sistema di rilevazione delle presenze, anche se autorizzato verbalmente dal superiore.
In questo caso i dipendenti, per la Corte, incorrono nel reato di falsa attestazione della presenza perché non avevano utilizzato il badge per definire il periodo di inizio e di fine assenza.
Secondo l’art. 55 quater del D.LGS. 165/2001 (modificato e integrato dal D.LGS.75/2017) al punto 1-bis sul Licenziamento disciplinare: “Costituisce falsa attestazione della presenza in servizio qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l'amministrazione presso la quale il dipendente presta attività lavorativa circa il rispetto dell'orario di lavoro dello stesso. Della violazione risponde anche chi abbia agevolato con la propria condotta attiva o omissiva la condotta fraudolenta.” L’articolo 55 concorre con la truffa aggravata, disciplinata dall'art. 640, co.2, n. 1, c. p. in tutti quei casi nei quali la condotta del dipendente pubblico provoca un danno all'Amministrazione, come espressamente previsto al primo comma dell’art. 55 quinquies: "fermo quanto previsto dal Codice penale".
La Cassazione si è espressa in maniera differente rispetto alle decisioni prese dalla Corte, poiché ha ritenuto che le affermazioni dei giudici di merito non tenessero conto del fatto che non era possibile dimostrare la continuità e l’abitualità della condotta incriminata, nonostante gli stessi dipendenti avessero parlato di pause quotidiane.
La sentenza presa in esame viene dunque annullata limitatamente alla applicabilità della cause di esclusione della punibilità, mentre si dichiara irrevocabile l'affermazione di responsabilità dei due dipendenti, condannandoli al risarcimento dei danni subiti dall’Ente in base all'art. 55 quinquies, comma 2, in forza del quale "Nei casi di cui al comma 1, il lavoratore, ferme la responsabilità penale e disciplinare e le relative sanzioni è obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché il danno d'immagine di cui all'art. 55 quater, comma 3-quater".
In conclusione, si confermano necessarie le prove concrete del ripetersi di un illecito per poter giustificare il licenziamento di un dipendente, ed è per questo che gli investigatori privati agiscono per il tempo necessario e sufficiente a dimostrare la reiterazione, senza eccedere nel controllo e agendo nel rispetto dello Statuto dei Lavoratori e della normativa vigente in materia di privacy.

Scarica l'allegato
Sentenza 29674.pdf


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