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PRECEDENTE CONDANNA PENALE DI UN DIPENDENTE: LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO

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PRECEDENTE CONDANNA PENALE DI UN DIPENDENTE: LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14114 del 23 maggio del 2023 (in allegato) ha revisionato una pronuncia della corte d’Appello di Ancona che aveva ritenuto illegittimo il licenziamento di un lavoratore, che era stato successivamente reintegrato sul posto di lavoro.

Analizziamo il caso di specie: un lavoratore veniva spinto al licenziamento dalla sua società datrice di lavoro a causa di una sua precedente condanna penale per violenza ai danni di un minore, avvenuta in un luogo di divertimento. In seguito a tale intimazione, il dipendente decide di rivolgersi alle autorità giudiziarie: sia il tribunale di Ancona che la corte d’Appello avevano confermato le sue ragioni, ritenendo in effetti immotivato il licenziamento.

La condotta del lavoratore era stata considerata “non connotata da particolare gravità”, considerando anche il tempo trascorso dalla condanna (13 anni) e il fatto che egli non abbia compiuto successivamente altre violazioni penali. Inoltre, la violazione era stata realizzata al di fuori dell’attività lavorativa, e per queste ragioni non poteva essere idonea ad interferire sul posto di lavoro.

La società a capo del dipendente avanza quindi un ricorso in Cassazione, contestando la falsa applicazione e dunque violazione dell’art. 2119 c.c. (disciplina del recesso per giusta causa). La motivazione addotta dalla società implicava che dal loro punto di vista il reato imputato al dipendente in realtà fosse di una gravità tale da poter giustificare la conclusione del rapporto di lavoro.

Il Collegio della Corte di Cassazione ha poi sostenuto le motivazioni poste in essere dalla società: nei fatti, il solo lasso di tempo trascorso non bastava ad attenuare la gravità del fatto compiuto. Ed inoltre, quest’ultima non poteva nemmeno essere attenuata dalle circostanze e dal luogo in cui i fatti erano stati realizzati.

La Corte di Cassazione aveva infine sottolineato l’errore che la Corte di merito aveva compiuto circa la valutazione della distanza temporale tra il fatto e l’incidenza sul rapporto lavorativo: quest’ultima avrebbe dovuto tenere in considerazione il momento in cui la società è venuta a conoscenza del fatto, che non era mai stato prima comunicato, e non il momento in cui il reato è stato compiuto.

In conclusione, secondo uno standard socialmente condiviso, la violenza ai danni di un minore, in qualsiasi contesto e spazio sia stata commessa, viene considerata idonea a ledere il vincolo fiduciario tra datore di lavoro e dipendente, anche se estranea al rapporto lavorativo in senso stretto, a maggior ragione nei casi in cui l’attività è a diretto contatto con il pubblico.

Questo caso di specie è un esempio, pertanto, di giusta causa di licenziamento.

Per prevenire questo tipo di situazioni, in fase di assunzione l’azienda può chiedere agli investigatori privati delle indagini preassuntive, che non solo hanno lo scopo di comprovare la veridicità delle esperienze e della formazione che il potenziale dipendente dichiara di possedere, ma hanno anche lo scopo di verificare la sua reputazione e il suo stile di vita, qualora fosse non conforme alle mansioni che dovrà svolgere, e quindi la sua moralità.

Conosciuta anche come Pre-employment screening, questo tipo di indagine individua la presenza delle cosiddette “red flags” nel background professionale e personale del candidato, permettendo all’azienda di tutelarsi da possibili problematiche future.

Come possono intervenire gli investigatori privati, in questi casi?

  • Indagini pre-assuntive;
  • Indagini reputazionali;
  • Attività di monitoraggio e di pedinamento del dipendente;
  • Attività di Web Intelligence OSINT e SOCMINT per la raccolta di elementi di prova dal web.

Scarica l'allegato
Cass.-ord.-n.-14114-2023.pdf


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