In questo ultimo periodo sempre più coppie sposate decidono di
non convivere in maniera canonica, mantenendo spesso due
residenze diverse, nella maggior parte dei casi per esigenze lavorative.
Questo non comprometterebbe in alcun modo le
dinamiche relazionali, per chi vive un amore saldo, ma molti coniugi si rivolgono alle
agenzie investigative perché inevitabilmente situazioni di questo tipo potrebbero favorire l’
infedeltà.
Non solo
relazioni extraconiugali vissute con maggiore
facilità, vista l’
indipendenza della quale i due coniugi godono, ma anche
infedeltà finanziaria (ne abbiamo parlato anche
qui), e molto spesso il coniuge
nasconde all’altro
entrate economiche e
beni acquisiti.
Gli
investigatori privati, dunque, intervenendo con delle
indagini patrimoniali e delle attività di
monitoraggio e
pedinamento, possono procurare le
prove dell’infedeltà in atto, valide in sede di giudizio.
Le
indagini patrimoniali hanno lo scopo di
dimostrare la
reale situazione economica/finanziaria dell’ex coniuge, prendendo in esame tutti i
beni della persona, come ad esempio:
• I conti correnti intestati;
• I redditi derivati da lavoro dipendente o da pensione INPS;
• La proprietà di beni immobili (abitazioni, locali commerciali, terreni) sia acquistati che ereditati;
• La proprietà di beni mobili (auto, moto, barche etc);
• La gestione di attività economiche, in proprio o in società con altri o le partecipazioni in imprese.
Questo tipo di
indagini sono particolarmente
delicate, poiché trattano
dati sensibili, e
complesse, poiché richiedono la
consultazione di
archivi specifici,
visure catastali e
ipotecarie, e quindi è necessario rivolgersi a delle
agenzie investigative competenti ed autorizzate ad effettuarle.
Una recente
ordinanza, la
n. 13450/2021 (in allegato), affronta proprio il tema dell’
assegno di mantenimento per quelle coppie sposate che, per una propria scelta, non convivono. La mancata
convivenza, secondo la Cassazione, non fa venire meno il
diritto della moglie, in questo caso, di percepire l’
assegno di mantenimento da parte dell’ex marito.
La decisione segue la conferma da parte della Corte d’Appello della pronuncia di
separazione, che pone l’
obbligo all’ex marito di corrispondere alla moglie
200 euro mensili.
Il marito
ricorre in Cassazione, sollevando come
motivi di
ricorso il fatto che sia lui che la moglie, durante il matrimonio, avendo vissuto vite completamente separate, non avevano un reale
ménage familiare, e quindi non era possibile avere un
riferimento per poter
parametrare la
misura del
mantenimento.
In secondo luogo, secondo l’uomo, la Corte d’Appello avrebbe compiuto una
comparazione in seguito alla lettera di
licenziamento presentata dalla donna in fase di
precisazione delle
conclusioni, mentre tale lettera doveva essere presa in considerazione nel
giudizio di
revisione in fase di separazione.
Ma per la Cassazione il
ricorso dell’uomo è da considerarsi
inammissibile.
Infatti, secondo la Cassazione, nonostante i due coniugi vivessero in due abitazioni diverse, si era comunque creato un
vincolo matrimoniale con conseguente obbligo all’assistenza familiare. Infatti quella di non convivere è una
scelta, che non fa venire meno la
comunione spirituale e materiale della coppia, e sussistono quindi anche i
doveri patrimoniali nati con il matrimonio.
Per quanto riguarda invece la lettera di
licenziamento prodotta dalla ex moglie, secondo la Cassazione il giudice deve
verificare che dopo la sentenza di separazione non siano intervenute
nuove circostanze in grado di alterare quanto deciso in fase di separazione, come nel caso, appunto, del
sopraggiunto licenziamento della donna.