In base alle regole dettate dall’art. 2 della l. n. 604/1966 sulla forma dell’atto e la comunicazione dei motivi del recesso, qualora l’atto di intimazione del licenziamento non precisi le assenze in base alle quali sia ritenuto superato il periodo di conservazione del posto di lavoro, il lavoratore – che ha l’esigenza di poter opporre propri specifici rilievi – ha la facoltà di chiedere al datore di lavoro di specificare tale aspetto fattuale delle ragioni del licenziamento, con la conseguenza che nel caso di non ottemperanza con le modalità di legge a tale richiesta, il licenziamento deve considerarsi illegittimo.
La Corte d’appello di Bari, riformando la pronuncia di primo grado, ha dichiarato nullo sia il licenziamento disciplinare intimato al lavoratore dalla società, nonché inefficace anche il licenziamento disposto successivamente dalla medesima società per superamento del periodo di comporto per sommatoria.
Con riferimento al primo licenziamento, in particolare, la Corte d’appello ha ritenuto non rispettata la procedura, prevista nel settore autoferrotranvieri, dalla specifica normativa (R.D. 148/1931) – che prevede la prima fase di contestazione dell’addebito, la seconda fase consistente nella relazione scritta dei funzionari con esposizione delle proprie conclusioni circa le mancanze accertate e i relativi responsabili, la terza concernente l’opinamento del direttore dell’azienda circa la punizione da infliggere – con la conseguenza di rendere nulla la sanzione.
Con riferimento al licenziamento per superamento del periodo di comporto, ovvero il periodo in cui il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto in caso di malattia, la Corte d’appello ha ritenuto generiche e indeterminate le motivazioni del licenziamento non essendo state indicate le giornate di assenza, né tale informazione è stata fornita al lavoratore a seguito di sua richiesta.
Per quel che qui rileva, la società datrice di lavoro ha impugnato la decisione della Corte d’appello di Bari.
Con riferimento al licenziamento disciplinare, la Corte di cassazione conferma la decisione della Corte territoriale con sentenza del 2 ottobre 2023, n. 27768, ribadendo i principi per cui:
Per quanto riguarda il licenziamento per superamento del periodo di comporto, la Suprema Corte osserva che la Corte d’appello di Bari ha aderito alla giurisprudenza secondo cui «qualora l’atto di intimazione del licenziamento non precisi le assenze in base alle quali sia ritenuto superato il periodo di conservazione del posto di lavoro, il lavoratore – il quale ha l’esigenza di poter opporre propri specifici rilievi – ha la facoltà di chiedere al datore di lavoro di specificare tale aspetto fattuale delle ragioni del licenziamento, con la conseguenza che nel caso di non ottemperanza con le modalità di legge a tale richiesta, il licenziamento deve considerarsi illegittimo» e «a fronte della richiesta del lavoratore di conoscere i periodi di malattia, il datore di lavoro deve provvedere ad indicare i motivi del recesso ex art. 2, comma 2, l. n. 604 del 1966 (modificato dall’art. 2 l. n. 108 del 1990), in quanto le regole ivi previste sulla forma dell’atto e la comunicazione dei motivi del recesso si applicano anche al suddetto licenziamento, non essendo dettata nessuna norma speciale al riguardo dall’art. 2110 cod. civ.».
Pertanto, la Corte di cassazione rigetta il ricorso e quindi il licenziamento è ritenuto illegittimo.
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