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L’INFEDELTÀ DEI DIPENDENTI AUMENTA E ASSUME NUOVE FORME

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L’INFEDELTÀ DEI DIPENDENTI AUMENTA E ASSUME NUOVE FORME
Gli illeciti messi in atto dai dipendenti non si sono fermati neanche con la pandemia e le restrizioni. Hanno anzi subito un sostanziale aumento, per quanto possa risultare incredibile che i fortunati ad avere oggi un posto di lavoro lo mettano a repentaglio facendo i “furbetti”.
Ai “classici” illeciti dei dipendenti se ne sono affiancati di nuovi, che mantengono le stesse caratteristiche, ma diverse procedure e maggiore diffusione.

Gli illeciti più comunemente messi in atto dai lavoratori sono:
•    attività extra-lavorative svolte dal dipendente, in concorrenza con l’attività primaria;
•    falsa attestazione della presenza in servizio;
•    attività retribuita a favore di terzi;
•    uso improprio dei permessi Legge 104, dei permessi sindacali e dei congedi;
•    falsa malattia e falso infortunio;
•    furto e appropriazione indebita.
Le aziende, grazie ai Controlli difensivi per mezzo delle agenzie investigative, possono ottenere le prove degli illeciti, e prendere i dovuti provvedimenti disciplinari, fino al licenziamento per giusta causa.
La legge 81/2017, con riferimento all’articolo 2119 CC, sottolinea inoltre che il licenziamento può avvenire in modo immediato e senza preavviso, nei casi in cui vi sia un giustificato motivo oggettivo, anche per chi lavora in smart working.

A proposito dei primi tre punti del precedente elenco, nell’ultimo anno si sono diffuse in maniera eclatante due forme di illeciti:
•    i furbetti dello smart working
•    i dipendenti che offrono lavoro a terzi, spesso in nero.

Analizziamo il primo: i furbetti dello smart working. Il lavoro agile, sebbene preveda degli accordi, delle policy aziendali ed un codice disciplinare, nella maggior parte dei casi si fonda principalmente sul rapporto di fiducia tra datore e lavoratore, perché vi è una maggiore autonomia. Ciò implica che, nei casi di dipendenti infedeli, diviene molto più semplice mettere in atto condotte ai danni dell’azienda datrice, a partire dal cyberslacking (del quale abbiamo parlato qui) fino ad arrivare al furto dati, alla falsa malattia e alla concorrenza sleale.
Sono molti i casi di dipendenti che, invece di restare in casa a lavorare a distanza, dedicano una parte della giornata a “fare affari” con i competitor, mettendo in gioco tutto il know-how acquisito nell’azienda primaria, e spesso utilizzando la strumentazione di cui sono stati dotati proprio da quest’ultima.
Il secondo illecito, molto diffuso in questi ultimi mesi, riguarda i dipendenti che offrono lavoro a terzi, spesso in nero. Questa condotta è particolarmente diffusa nel settore  dell’estetica, delle acconciature, dei tatuaggi, del benessere. Molti dipendenti che sono ad esempio in cassa integrazione sfruttano le conoscenze e le competenze acquisite sul posto di lavoro per effettuare delle prestazioni in maniera privata e non autorizzata, truffando l’Inps, trasgredendo le norme sanitarie e fiscali e compromettendo irrimediabilmente il vincolo fiduciario con il datore di lavoro.
È chiaro che nei negozi e nei centri le norme di sicurezza sanitaria vengono rispettate, ma quando si lavora in casa non si possono certo dare le stesse garanzie. Non è facile scovare questo tipo di illeciti, ma le comuni tecniche investigative, come il monitoraggio, l’appostamento ed il pedinamento, unite ad una attività di OSINT sui social network, spesso fucina di richieste e offerte di parrucchieri, estetisti, tatuatori etc disposti a lavorare a domicilio, permettono agli investigatori privati di raccogliere le prove degli illeciti.
Il dossier investigativo così prodotto ha valore probatorio in sede di giudizio, e può essere confermato dalla testimonianza in tribunale degli investigatori privati, testimoni oculari delle condotte irregolari.


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