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INVESTIGATORE PRIVATO E WEB INTELLIGENCE: IL CASO MOM DI TREVISO

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INVESTIGATORE PRIVATO E WEB INTELLIGENCE: IL CASO MOM DI TREVISO
Una nuova conferma dell’importanza di rivolgersi agli investigatori privati, soprattutto se specializzati in Web Intelligence, per la risoluzione degli illeciti commessi in rete, arriva da Treviso e riguarda un caso di diffamazione sul web, che ha visto protagonista la nota azienda di trasporto pubblico MOM – Mobilità di Marca.
La vicenda nasce da alcuni post pubblicati da un utente su una pagina Instagram, ideata da un gruppo di studenti e riguardante le abitudini di un “trevigiano medio”, come da loro stessi definito.
I post incriminati raffiguravano delle vignette sulla difficoltà di fruire dei servizi che l’azienda di trasporti offre alla città, lamentando lunghe file alla biglietteria, la carenza di navette per gli studenti etc.
Il presidente dell’azienda, tramite l’avvocato della società, si è quindi rivolto ad un investigatore privato per scoprire chi c’era dietro al profilo Instagram autore dei contenuti diffamatori.
In linea generale, attraverso delle indagini OSINT e SOCMINT, gli investigatori privati possono effettuare la ricerca, raccolta ed analisi di dati e di notizie tratte da fonti aperte, ovvero liberamente disponibili, volte ad indentificare le offese o l’attribuzione di fatti per mezzo del web ad un soggetto fisico o giuridico, come ad esempio l’individuazione di notizie false sul conto della vittima.
Una volta raccolte le informazioni, vanno “tradotte”, analizzate e collegate tra di loro, da investigatori privati esperti in questo tipo di attività, ed infine riportate nel dossier investigativo da consegnare al cliente. Il dossier investigativo ha valore probatorio in sede di giudizio.
Tutte le informazioni raccolte all’interno della rete, inoltre, data la natura mutevole di questa, vengono cristallizzate nel tempo tramite software specifici che permettono di conservare l’informazione anche qualora venisse cancellata.
L’investigatore privato incaricato da MOM è riuscito a risalire all’identità dell’autore delle pubblicazioni incriminate. L’esigenza di sapere chi fosse era particolarmente importante: qualora si fosse trattato di un dipendente dell’azienda, infatti, la sua condotta avrebbe determinato un provvedimento disciplinare, fino al licenziamento per giusta causa.
Nei casi di dipendenti pubblici vi è un apposito articolo, l’art. 10 del Codice di comportamento dei pubblici dipendenti, che vieta espressamente di pubblicare online, in ogni forma, “dichiarazioni inerenti l’attività lavorativa, indipendentemente dal contenuto se esse siano riconducibili, in via diretta o indiretta, all’ente”. Ogni violazione viene quindi gravemente sanzionata.
Numerose sentenze confermano la legittimità del licenziamento per giusta causa quando il dipendente privato o pubblico, attraverso i social network, critichi e disprezzi l’azienda per la quale lavora (od i suoi servizi e prodotti), le figure dirigenziali che la rappresentano ed anche i propri colleghi. (Tribunale di Napoli n. 8761 del 15 Dicembre 2017, Cass. Civ. n. 16381/2014 etc.)
Il responsabile, nel caso di specie, era invece uno studente appena diciottenne, che il giudice di Treviso ha deciso di non condannare, accogliendo la richiesta del sostituto procuratore di archiviare il caso per via della “tenuità del fatto”.
Ma il presidente di MOM ritiene necessario, invece, proseguire con l’azione legale, perché la diffamazione ha danneggiato gravemente l’immagine dell’azienda.
Ricordiamo infatti che secondo la giurisprudenza italiana la diffamazione via web costituisce un atto di diffamazione aggravata, poiché particolarmente lesiva per la vittima, data l’incontrollabile diffusione delle ingiurie ed il numero potenzialmente illimitato delle persone che si possono raggiungere.


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