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IL DATORE DI LAVORO PUÒ NEGARE I PERMESSI LEGGE 104 AL DIPENDENTE?

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IL DATORE DI LAVORO PUÒ NEGARE I PERMESSI LEGGE 104 AL DIPENDENTE?

La Legge 5 febbraio 1992 n. 104 prevede delle agevolazioni lavorative per i disabili e per i familiari che assistono persone disabili: tre giorni di permesso mensile o, in alcuni casi, due ore di permesso giornaliero.

Nello specifico, i permessi retribuiti Legge 104 spettano al lavoratore dipendente:

  • gravemente disabile;
  • genitore (anche adottivo o affidatario) di figli gravemente disabili;
  • coniuge, parte dell’unione civile, convivente di fatto (articolo 1, commi 36 e 37, legge 76/2016), parente o affine entro il terzo grado di familiari gravemente disabili.

I permessi Legge 104/1992 sono un diritto del lavoratore ed il datore di lavoro non può opporsi alla loro concessione, soprattutto se i permessi vengono richiesti, come accade nella maggior parte dei casi, tempestivamente dal lavoratore, nel rispetto dei bisogni del disabile assistito e delle necessità organizzative del datore di lavoro.

Il lavoratore deve richiedere i permessi secondo la modalità telematica prevista, inviando la domanda all’ente previdenziale e, una volta accolta, la richiesta dovrà essere comunicata all’azienda. Se la richiesta non viene presentata secondo questo iter, il datore di lavoro può ovviamente opporsi legittimamente.

In tutti gli altri casi, se il datore di lavoro non volesse concedere i permessi commetterebbe un illecito, del quale sarebbe chiamato a rispondere in giudizio, se il lavoratore si opponesse. Non rientra tra i poteri aziendali quello di decidere sulla fruizione di tali permessi.

Il bisogno di assistenza del disabile, infatti, prevale sull’interesse dell’azienda, che non può impedire, non concedendo i permessi, che l’assistenza avvenga. Il lavoratore può, semmai, accordarsi circa le modalità di fruizione dei permessi con il datore di lavoro. I giorni di permesso, infatti, possono essere fruiti anche in maniera frazionata in ore, in base all’orario di lavoro del dipendente, pari a 2 ore al giorno per chi lavora almeno 6 ore al giorno, o di un’ora al giorno se le ore di lavoro sono meno di 6.

Ma solitamente la maggior parte dei dipendenti usufruisce dei permessi per i tre giorni mensili spettanti.

Il datore di lavoro può, allora, come anticipato, accordarsi con il dipendente programmando i giorni di assenza, senza alcun obbligo, ma chiedendo al lavoratore di scegliere, se possibile, i giorni di permesso in modo tale da favorire le esigenze produttive e organizzative dell’azienda. Ciò è possibile solo se il lavoratore può individuare preventivamente i giorni utili all’assistenza del familiare disabile, senza compromettere il diritto di quest’ultimo di essere assistito.

Il datore di lavoro ha sempre il diritto di difendersi dagli abusi.

Il fatto che sia sempre il lavoratore a decidere come e quando fruire dei permessi non significa che non debba rispondere dei suoi comportamenti illeciti, che possono causargli delle sanzioni disciplinari.

Il dipendente, infatti, durante i giorni di permesso, ha l’obbligo di dedicare la maggior parte del tempo ad attività compatibili con l’assistenza al familiare disabile. L’utilizzo improprio dei permessi, che il datore di lavoro può accertare ricorrendo ad una agenzia investigativa autorizzata, può essere sanzionato anche con il licenziamento per giusta causa, poiché comporta la violazione dei principi di buona fede e correttezza nei confronti del datore di lavoro.

Attraverso il monitoraggio del dipendente gli investigatori privati possono provare eventuali inadempimenti, cristallizzando il tutto mediante report fotografico e video che potrà essere confermato dall'investigatore privato, tramite testimonianza, in sede di possibile contenzioso.

Come possono intervenire gli investigatori privati, in questi casi?

  • Attività di monitoraggio e di pedinamento del dipendente in permesso;
  • Attività di Web Intelligence OSINT e SOCMINT per la raccolta di elementi di prova dal web: è spesso lo stesso dipendente a pubblicare online prove delle sue condotte incompatibili con l’assistenza da prestare al disabile.


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