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I DANNI COMMESSI DAI FIGLI DEL CONIUGE SONO RESPONSABILITÀ ANCHE DEL GENITORE DI FATTO?

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I DANNI COMMESSI DAI FIGLI DEL CONIUGE SONO RESPONSABILITÀ ANCHE DEL GENITORE DI FATTO? La Corte d’Appello di Bari, con sentenza n. 1754/2020 (in allegato), riguardante il caso di un dodicenne aggredito da un ragazzino di quattordici anni, afferma che il genitore di fatto – in questo caso il padre – che non ha mai assolto al suo ruolo genitoriale, e che non ha mai accettato il ragazzo come suo figlio, non è chiamato a rispondere dei danni da egli causati.
La vicenda ha inizio quando i genitori del ragazzo di dodici anni hanno agito in giudizio chiedendo la condanna dei genitori del quattordicenne, esercenti la responsabilità genitoriale ai sensi dell'art. 2048 c.c., per i danni provocati al figlio.
Infatti, mentre il dodicenne era impegnato a giocare con degli amici, il quattordicenne gli aveva sferrato un calcio all’altezza dei genitali, provocandogli lesioni permanenti del 7,8%. Il Tribunale ha però rigettato la richiesta.   
Ma il danneggiato, che intanto ha raggiunto la maggiore età, ricorre in appello, chiedendo nuovamente la condanna dei genitori dell’aggressore, ai sensi dell'art. 2048 c.c. per culpa in vigilando e in educando o, in subordine, ai sensi dell'art 2047 c.c..
Anche l’aggressore è diventato maggiorenne, per cui la madre, pur costituendosi in giudizio, avanza la propria legittimazione passiva, chiedendo il rigetto dell’appello. Ma la Corte d’Appello rigetta il difetto di legittimazione, poiché la vicenda si è svolta quando il figlio era minorenne, quindi sotto responsabilità genitoriale.
Ai sensi dell'art. 2047 c.c., il Tribunale aveva inizialmente ritenuto che si trattasse di mancato assolvimento dell’obbligo di sorveglianza del soggetto incapace. Le testimonianze del fatto erano oltretutto generiche, e la madre era riuscita a dimostrare di aver educato in maniera adeguata il figlio e di aver sorvegliato sulla sua condotta. Il Giudice avrebbe quindi dovuto considerare la vicenda come un gioco tra adolescenti, sfociato in un incidente, che aveva causato dei danni fisici all’allora dodicenne.
Ma il danneggiato impugna la sentenza di primo grado, sollevando una serie di ragioni di doglianza, tra le quali la mancata considerazione della natura dolosa dell’atto di bullismo subito e la valutazione della sua reale gravità, chiedendo che la responsabilità della condotta del bullo ricadesse anche sul coniuge della madre, genitore di fatto del ragazzo.
La Corte d'Appello, con la sentenza n. 1754/2020, si pronuncia sul ricorso, escludendo innanzitutto che possa essere applicato l'art. 2047 c.c., poiché non si trattava di un minore incapace, visto che all’epoca dei fatti aveva già quattordici anni, ma sussiste invece la responsabilità genitoriale ai sensi dell'art 2048 c.c.: "la carenza o l'inadeguatezza dell'educazione e della vigilanza parentali possa ricavarsi anche dalla gravità e dalle modalità del fatto illecito commesso dal figlio in seno alle sue relazioni, anche d'ordine sportivo o ricreativo, con i terzi." Infatti una nuova testimonianza aveva sottolineato l’intenzione del ragazzo di compiere il gesto violento sulla vittima e dall'istruttoria è anche emerso che il ragazzo era "poco integrato, molto insofferente, che non si impegnava nello studio e che la madre non riusciva da sola a gestire."
Non è però stata confermata la responsabilità del genitore di fatto, ossia del coniuge della madre, perché “(…) una tale responsabilità sarebbe ipotizzabile solo ove gli attori avessero dimostrato una stabile convivenza del (...) con il minore e l'assunzione di fatto da parte di quest'ultimo del ruolo paterno".
Nel caso in esame, invece, il marito della madre non ha mai accettato i figli della coniuge, compreso ovviamente l’aggressore.

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sentenza n. 17542020.pdf


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