Abbiamo parlato in un nostro recente articolo, consultabile
cliccando qui, di come molti ex coniugi, consapevoli di poter perdere l’
assegno di mantenimento o
divorzile se hanno un lavoro che permette loro di autosostenersi, trovino degli “escomatage”, assolutamente discutibili, per risultare
disoccupati, continuando di fatto a
lavorare, ma
in nero, in modo che non sia possibile risalire, tramite un semplice rintraccio, al posto di lavoro e poter continuare a percepire l’
assegno di mantenimento.
Proprio di uno di questi casi si è occupata la
Cassazione con l’
ordinanza n. 5077 del 2021 (in allegato), che ha oltretutto confermato l’
importanza delle
indagini svolte dagli
investigatori privati per conto dell’ex coniuge obbligato, per dimostrare che la
condotta dell’ex moglie era incompatibile con i requisiti necessari a percepire l
’assegno di mantenimento.
Nel caso di specie, viene ritenuto
inammissibile il
ricorso di una donna, che si era opposta all’annullamento dell’assegno di mantenimento, lamentando, tra le altre cose, che la decisione fosse stata presa anche in base alle risultanze delle
investigazioni richieste dall’ex marito ad una
agenzia investigativa, e senza prendere in considerazione le certificazioni mediche da lei prodotte nelle quali si evidenziava una
patologia che le impediva di lavorare.
In questo tipo di situazioni gli
investigatori privati incaricati svolgono delle attività di
monitoraggio e di
pedinamento, producendo
foto e
video relativi alla condotta dell’ex coniuge, coadiuvate da attività di
Web Intelligence, come ad esempio la consultazione di
database su
fonti aperte e
chiuse ed attività di
OSINT e
SOCMINT. Spesso i
social media forniscono informazioni fondamentali.
Con l’aumento delle
separazioni e dei
divorzi, queste
indagini sono, ad oggi, tra le più richieste.
Gli
investigatori, al termine delle
indagini, raccolgono nel
dossier le
prove che l’obbligato potrà produrre
in giudizio, e gli stessi
investigatori potranno essere chiamati a
deporre, in quanto
testimoni oculari dei fatti, confermando personalmente quanto riportato nel
dossier.
Nel caso in esame, gli elementi di prova rilevavano inequivocabilmente lo svolgimento dell’
attività lavorativa in nero della donna presso lo studio dal quale tempo prima aveva dato le dimissioni, ed una serie di condotte del tutto
incompatibili con la
patologia dalla stessa dichiarata.
Come riportato e sintetizzato testualmente nell’
ordinanza: “
Nel caso concreto la sentenza impugnata ha ampiamente e adeguatamente motivato la decisione della Corte di non riconoscere alla P. alcun assegno di mantenimento, attesa la sua piena capacità lavorativa, desunta dalle indagini investigative - disposte dal C. e versate in atti -, dalle quali è emerso che, anche dopo le formali dimissioni della P. dallo studio di un commercialista, avvenute nell’anno 2010, la medesima ha continuato a prestare di fatto attività lavorativa presso tale studio, nell’arco temporale che va dal 2011 in poi. La Corte territoriale ha, altresì, assolutamente escluso che la istante si trovi «in condizioni di salute tali da precluderle di lavorare (potendo tranquillamente camminare, guidare e persino andare in bicicletta)».”
Il motivo di doglianza della donna sull’utilizzabilità delle risultanze
investigative è stato evidentemente
rigettato e ritenuto
inammissibile, confermando la
piena validità e
legittimità delle
investigazioni private per la
tutela dei propri
diritti in sede di
giudizio, sia
civile che
penale.
La Corte ha quindi
confermato la decisione dei giudici d’appello di
non assegnare un
assegno divorzile alla donna.