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E' TUTTA COLPA MIA!

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E' TUTTA COLPA MIA! Una recente sentenza della Cassazione (Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 18 gennaio – 22 aprile 2016, n. 8149) ha stabilito che la confessione contenuta in una lettera non è sufficiente ad imputare la responsabilità della fine del matrimonio al coniuge che la scrive. Responsabilità che potrebbe coincidere con l’addebito della separazione.
Nel caso specifico la Cassazione respinge la richiesta di addebito della separazione da parte di un coniuge che aveva prodotto in giudizio alcune lettere a lui inviate dalla ex moglie, nelle quali la donna riconosceva di aver adottato una cattiva condotta in alcune circostanze del loro iter matrimoniale.
Ammissioni di colpa di questo tipo non possono considerarsi confessioni vere e proprie. Tuttavia, quando esprimono non tanto giudizi, opinioni o stati d’animo, ma piuttosto fatti obiettivi, possono essere spese in giudizio come indizi suscettibili di valutazione giuridica, da corroborare attraverso altri elementi probatori.
Dunque il giudice non considererà tout court queste ‘confessioni’ come prove vere e proprie, piuttosto ne verificherà il fondamento giuridico alla luce di tre parametri:
-          tempo trascorso dalla consegna della lettera al giudizio di separazione. Maggiore è il tempo      trascorso, minore il valore dell’ammissione di responsabilità;
-          incidenza che hanno avuto i comportamenti confessati rispetto alla fine del matrimonio. Se il nesso fra questi e la fine del matrimonio non è di causalità, la loro rilevanza giuridica è pressoché nulla;
-          condotte confessate: se queste non sono lesive dei doveri fondamentali del matrimonio, non avranno rilevanza giuridica.
Dunque, meglio che il coniuge che ha intenzione di separarsi raccolga vere e proprie prove grazie alle agenzie investigative private.
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