Una recente ordinanza della Cassazione, la n. 22819 del 2021 (in allegato) conferma l’obbligo per il dipendente assente per malattia di presentarsi in azienda una volta terminati i giorni di permesso.
Nel caso specifico, una capotreno ha impugnato il licenziamento che le era stato irrogato poiché, dopo un lungo periodo di malattia, superiore ai sessanta giorni, si era assentata ingiustificatamente per altri dieci giorni.
Secondo la donna il motivo per il quale non si era presentata in azienda era legato alla mancata visita medica prevista dall'art. 41, comma 2, lett. e-ter) del D.Lgs. 81/2008 finalizzata a verificarne l’idoneità alla mansione, dal momento che la stessa aveva espresso la volontà di essere collocata in una diverse sede e non più tra il personale viaggiante.
Tale visita medica non è prevista dalla legge come condizione necessaria per riprendere l’attività lavorativa ed oltretutto viene effettuata su iniziativa del datore di lavoro, e non del lavoratore.
Se al rientro della malattia durata più di sessanta giorni il lavoratore viene nuovamente riassegnato alla stessa mansione, può astenersi ai sensi dell’ex art. 1460 del codice civile - Eccezione d'inadempimento.
Il datore di lavoro, infatti, è dovuto a tutelare l’incolumità e la salute del lavoratore, e non può omettere l’effettuazione della visita, che in tal caso integrerebbe un suo grave inadempimento.
Principalmente perché il Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 41, comma 2 prevede che la visita medica precedente alla ripresa del lavoro “è volta a verificare l'idoneità alle mansioni, e cioè, in primis, il ripristino dell'idoneità all'attività lavorativa in generale, e non alla mansione specifica”.
Ma il lavoratore, pur potendosi astenere dallo svolgere la sua mansione, non può rifiutarsi preventivamente di presentarsi in azienda, una volta terminato il periodo di aspettativa, perché la sua presenza in azienda ridà operatività al rapporto lavorativo, ed è da considerarsi a prescindere dalla mansione che verrà assegnata, “ben potendo comunque il datore di lavoro, nell'esercizio dei suoi poteri, disporre, quanto meno in via provvisoria e in attesa dell'espletamento della visita medica e della connessa verifica di idoneità, una diversa collocazione del proprio dipendente all'interno della organizzazione di impresa”.
Non presentandosi in azienda, dunque, la lavoratrice ha commesso un illecito, che la Cassazione ha ritenuto idoneo ad integrare giusta causa di licenziamento.
È bene verificare, nel corso della malattia, lì dove vi sia il sospetto di un abuso dei permessi richiesti, o durante un periodo di assenza ingiustificata, la reale condotta del dipendente attraverso dei Controlli difensivi per mezzo di una agenzia investigativa autorizzata. Soprattutto nei casi in cui il dipendente si assenta per malattia molto spesso e “strategicamente”.
Tali controlli non riguardano gli aspetti sanitari (preclusi dall’articolo 5 dello Statuto dei lavoratori) ma le condotte extra-lavorative che attestano l’insussistenza della malattia o dello stato di incapacità lavorativa, o condotte che possano ritardare o compromettere la guarigione del dipendente di fatto malato. (Cassazione, sentenza n. 12810/2017).
Le prove dell’illecito, raccolte nel dossier finale, hanno valore probatorio e possono essere, dunque, utilizzate in giudizio per la tutela dei propri diritti.
Inoltre gli investigatori privati possono essere chiamati a testimoniare per confermare quanto riportato nel report da loro redatto, in quanto testimoni oculari dei fatti accaduti.
Come possono intervenire gli investigatori privati, in questi casi?