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ATTACCHI HACKER IN AUMENTO: L’ULTIMA VITTIMA É LA SIAE

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ATTACCHI HACKER IN AUMENTO: L’ULTIMA VITTIMA É LA SIAE
L’avanzamento dell’AI (Intelligenza artificiale) ha portato innumerevoli vantaggi, ma altrettanti pericoli per i nostri dati. La diffusione dello Smart Working, del cloud e dei comuni strumenti informatici ci ha fornito un quadro abbastanza chiaro di quanto sia importante la Cybersecurity, perché abbiamo toccato con mano, soprattutto in quest’ultimo anno e mezzo, i problemi legati alla sicurezza. Nel 2020 sono stati ben 1871 gli attacchi informatici di dominio pubblico che hanno avuto un importante impatto sistemico, +12% rispetto al 2019.

Molte vittime di questo tipo di attacchi si rivolgono alle agenzie investigative autorizzate per raccogliere le prove dell’avvenuta frode. Gli investigatori privati intervengono su più fronti: tramite attività di web intelligence, OSINT e SOCMINT, attraverso la bonifica dei dispositivi coinvolti come smartphone, tablet, pc e wearable devices, e con attività di Computer forensics, Digital forensics e Cybersecurity

Inoltre viene svolta, in accordo con il cliente, nei casi di attacchi informatici che hanno riguardato un’azienda, una successiva indagine reputazionale, poiché molto spesso le imprese subiscono un danno d’immagine molto elevato, quando i loro clienti finali vengono coinvolti in una truffa di questo genere o comunque ne vengono a conoscenza, perché viene minata la fiducia che ripongono nell’azienda.
In più le aziende devono tenere conto del fattore umano interno, perché molti data breach o attacchi informatici sono causati proprio dalla disattenzione, dall’incompetenza o dalla volontà degli stessi dipendenti.

I più comuni attacchi vengono messi in atto tramite ransomware. Il ransomware è un virus, un malware, che infettando un dispositivo ne limita l'accesso, chiedendo un riscatto (“ransom”, appunto) al titolare per rimuovere la limitazione. Ci sono ransomware che bloccano il sistema chiedendo all'utente di pagare per poter ottenere lo sblocco, ed altri ransomware, invece, che cifrano i file chiedendo all’utente di pagare per poterli riavere in chiaro.

Proprio di un attacco di questo tipo è stata vittima, in questi giorni, la SIAE. Un attacco hacker ha causato il furto di 60 GB di dati, l’equivalente di 28mila file. Il gruppo che ha messo in atto l’attacco, l’Everest Ransom Team, ha chiesto un riscatto di 3milioni di euro in criptovalute per non mettere in vendita nel dark web i dati rubati: carte di identità, patenti, tessere sanitarie, indirizzi ed altri dati sensibili di tanti autori SIAE.

Per mettere in atto la truffa è stata utilizzata la tecnica del phishing, della quale abbiamo parlato in nostri precedenti articoli, come quello che potete consultare cliccando qui, e che consiste nell’invio di messaggi sms o mail alle vittime per indurle a fornire direttamente le proprie informazioni che il truffatore utilizzerà.
Come è comprensibile la preoccupazione è tanta, soprattutto per i molti nomi noti che rappresentano un “valore di mercato” appetibile per i cybercriminali, e così la Polizia Postale, chiamata ad intervenire, si è messa subito al lavoro per identificare gli autori del data breach.

L’amministratore delegato di SIAE ha comunicato che non è loro intenzione pagare il riscatto.
Le indagini sono in corso, e le prove raccolte verranno utilizzate per l’apertura di un fascicolo di indagine affidato al pool di pm che si occupa dei reati informatici.
Le prove, come abbiamo anticipato, per essere legalmente valide, devono essere svolte da professionisti, come gli investigatori privati specializzati. Il report investigativo finale da loro redatto conterrà tutti gli elementi riconducibili all’illecito, alle sue modalità di attuazione ed ovviamente ai suoi responsabili. Il dossier ha valore probatorio.


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