L’ambush marketing è una tecnica di comunicazione commerciale “parassitaria”, nata agli inizi degli anni ’80, e consiste nel tentativo di associare, da parte di un azienda “non sponsor”, il proprio brand ad un evento importante, beneficiando dei vantaggi così ottenuti in maniera illecita.
Si tratta di attività che esulano dai regolari rapporti contrattuali tra organizzatori e sponsor ufficiali di un evento, ma ingenerano nel pubblico la convinzione che l’azienda ambusher sia invece collegata con l’evento stesso, togliendo visibilità a quelle aziende che hanno sostenuto i costi necessari per diventarne sponsor ufficiali.
Il termine ambush, infatti, trae origine dal verbo inglese to ambush, che significa letteralmente: “tendere un’imboscata, un agguato”.
Esistono diverse forme di ambush marketing, come ad esempio:
Nel 1984, durante le Olimpiadi di Los Angeles, Kodak acquistò gli spazi pubblicitari televisivi disponibili, ottenendo molta più visibilità mediatica di Fujifilm che era, invece, sponsor ufficiale. Si tratta del primo caso riconosciuto di ambush marketing.
Siamo di fronte a pratiche al limite della correttezza, e numerose sono le reazioni per contrastare tale fenomeno. Gli eventi sportivi, ad esempio, sono stati normati in tal senso dal CIO (Comitato Olimpico Internazionale), dalla FIFA, dalla Carta Olimpica e dalla Legge 167/2005 per la tutela del simbolo olimpionico.
In Italia la vera svolta si è avuta con il Decreto Legge n. 16/2020 (in allegato) che ha dedicato l’intero articolo 10 al divieto di attività parassitarie.
Per i trasgressori, a meno che non vi sia anche l’integrazione di un reato o di un illecito più grave, la sanzione minima è di € 10.000 fino a 2,5 milioni di euro.
Con il provvedimento n. 30099/2022 dell’Autorità Garante della Concorrenza e del mercato, per fare un altro esempio, un sito di abbigliamento è stato multato per 100.000 euro, per aver affisso un imponente manifesto in una piazza romana nella quale si sarebbe tenuto un importante evento.
Infine, tutti gli atti di ambush marketing possono violare l’art.2598 c.c., in quanto Atti di concorrenza sleale, soprattutto il punto “3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda” .
A tal proposito il Tribunale di Milano Sez. spec. Impresa del 18 gennaio 2018 ha affermato che “Costituisce atto di concorrenza sleale la promozione di prodotti acquistati per la rivendita al pubblico (nella specie, giocattoli riproducenti un droide, BB-8, fra i personaggi di un film della saga di “Star Wars”) che determini nella mente del consumatore il convincimento dell’esistenza di un legame di co-marketing o di licenza con i titolari dei diritti di proprietà intellettuale relativi al film, con conseguente diluizione della campagna promozionale organizzata da un’agenzia pubblicitaria per conto di altro operatore in occasione dell’uscita del film nelle sale cinematografiche: c.d. Ambush Marketing”.
Rivolgersi ad una agenzia investigativa autorizzata, per la tutela del proprio brand è fondamentale per raccogliere le prove da utilizzare, se necessario, in sede di giudizio. Gli investigatori privati raccolgono gli elementi di prova sia sul campo, attraverso delle attività di monitoraggio e di Mystery Shopping, lì dove possibile, utilizzando anche la tecnica del cosiddetto Trap purchase, ossia l'acquisto di prodotti e servizi oggetto di indagine, sia sul web, attraverso delle attività di Web Intelligence OSINT e SOCMINT, individuando le pubblicazioni su fonti aperte utili a dimostrare l’illecito.
Come possono intervenire gli investigatori privati, in questi casi?